La trebbiatura del grano a Magnago
Agli inizi del ‘900 operava a Magnago una macchina trebbiatrice (“la måchina da båti”) privata, di proprietà della famiglia Storma. Usufruire della trebbiatrice privata comportava una spesa individuale, anche se moderata: allora i contadini s’ingegnavano a battere il grano nei propri cortili. La trebbiatura manuale era un vero e proprio rituale, una festa, con le sue regole, i suoi tempi, i suoi canti. Si iniziava la mattina presto, e il giorno era scandito dal duro lavoro e da brevi soste di ristoro: ogni tanto una donna con un vassoio girava in mezzo a polvere e rumore offrendo biscotti fatti in casa, vino o acqua. Si tagliava il grano (ul furméntu) con la falce (ul fèr da prå), si raccoglieva in fasci e si legavano più spighe insieme per formare i covoni, che poi si stendevano a cerchio sull’aia, quindi si trebbiava facendovi passare sopra buoi o muli bendati, in un continuo movimento circolare, perché con gli zoccoli facessero uscire i chicchi di grano dalla spiga, governati da un uomo piazzato al centro, sino alla conclusione dell’operazione. Questo lavoro comportava anche una notevole perdita del prodotto. Erano anche gli stessi uomini, che facevano quel lavoro, sebbene con maggiore fatica, con dei bastoni snodati (batúria) con i quali percuotevano le spighe. Per questo motivo l’operazione prendeva il nome di “battitura”. C’era anche il rito della raccolta del granoturco, pannocchia per pannocchia (la lòa). Le operazioni di scartocciamento (disluå) e di sgranatura (sgranå) si svolgevano nei cortili, con il risultato di ottenere l’integrale pulitura del tutolo (mursòun) dai chicchi che cadevano direttamente nello staio di raccolta.
Con l’avvento della meccanizzazione, il lavoro era compiuto dalla trebbiatrice. La macchina, di legno, con pulegge in ferro, veniva poi unita ad un trattore tramite una lunga cinghia che trasmetteva il movimento. A Magnago la trebbiatrice era dislocata in via San Gaetano. Nel 1920, i contadini del Comune di Magnago, insieme ad alcuni di Busto Arsizio che avevano terreni sul confine nord, circa 250 soci, davano vita a una Società di fatto con sistema cooperativo denominata: “Società Anonima Unione S. Michele e S. Gaetano per la Trebbiatura del Grano”. Presidente: Pariani Eugenio; Segretario: Don Francesco Checchi (ul Sciùr Cüradu), uno dei fondatori e il maggior finanziatore. Quota Sociale: L. 20 (ogni socio poteva avere più quote). Detta Società, con le quote sociali, con i depositi e prestiti a basso tasso d’interesse, acquistava la trebbiatrice della famiglia Storma, regolarmente funzionante, e la trasferiva al vecchio Oratorio Maschile, ai portici dell’abitazione del sagrestano (Cicö sacrìsta), dove avevano diritto di precedenza i “contadini del parroco”, ovvero coloro che coltivavano nei terreni della Curia. Il 13 luglio 1928 la Società Trebbiatrice acquistava un appezzamento di terreno; venne recintato e predisposto con portici, per la sala macchina e il locale magazzino, e destinato al funzionamento della trebbiatrice. Il terreno recintato, chiuso da un cancello, si trovava di fronte all’ingresso del cimitero.
La “måchina da båti” era una “Ruston”, di fabbricazione tedesca, capace di 110 battute al minuto con una potenza di 20 CV. Tutti i contadini portavano il loro grano sui carri, in covoni (fasìn) e ogni covone era introdotto dall’alto nella macchina, tagliando prima quel fascio di steli che costituiva la legatura. In piedi sulla macchina un uomo spingeva i covoni all’interno della trebbiatrice, allargandoli, in modo da dare ad essa la possibilità di lavorare a pieno regime senza lasciare spighe non “battute”. La paglia, pressata meccanicamente in balle dall’apposita pressa, era legata con fili di ferro, che erano infilati a mano nella macchina da un addetto. Così da una parte si formava il pagliaio, dall’altra usciva il grano, mentre alla bocchetta della trebbia si alternavano i sacchi, che erano riempiti di chicchi. Ogni sacco, appena colmo, era portato sulla bascula per essere pesato; poi, dopo aver aggiustato il peso togliendo o aggiungendo grano, veniva chiuso e legato.
Era usanza che il contadino che aveva usufruito della trebbiatrice lasciasse, “nel sacco predisposto”, un’offerta in grano per il parroco, circa 10 Kg.
La “måchina da båti” funzionava ininterrottamente, dalle ore 5 alle ore 21, in due turni di 8 ore, e alle volte ultimava il lavoro alle ore 22.30, alla luce di lampioni. A ogni turno lavoravano 6 uomini: un capomacchina, uno ai sacchi, uno ai covoni, uno all’imboccatura e due alla pressa.
Nel 1940 la Società opera diversi acquisti: due seminatrici; una separatrice di sementi; uno sgranatoio elettrico; una nuova trebbiatrice: marca M.A.I.S. di Suzzara.
Negli anni dal 1951 al 1955 operava in paese, proveniente dal Piemonte, una trebbiatrice che si recava direttamente nei cortili dei contadini che avevano i campi più vasti, (i paisán püsé grós), accelerando così i tempi e diminuendo le fatiche e i disagi del trasporto. Anche la trebbiatrice locale negli anni seguenti, è stata costretta a spostarsi da un cortile all’altro, ma dal 1958 non è stata più funzionante. Negli anni successivi la Società provvedeva a vendere tutte le macchine; infine l’Assemblea dei Soci decideva di cedere l’area sita in viale Rimembranze a Magnago, di proprietà dell’ex Società Trebbiatrice, all’Amministrazione Comunale di Magnago per realizzare un parco delle Rimembranze con monumento ai caduti.